Il regno dei cieli è vicino
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Il regno dei cieli è vicino

Non “vicino” nel tempo, ma nello spazio

«”Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta”.
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”».
(Dalla liturgia)

Il brano ci parla dell’inizio della vita pubblica di Gesù, e fa subito due precisazioni: il tempo e il luogo.

Il tempo: subito dopo l’arresto di Giovanni Battista.

L’arresto di Giovanni non è solo una indicazione temporale, ma già ci anticipa la sorte di Gesù: come il Battista, come tutti i profeti, anche Gesù subirà una morte violenta. E anche il riferimento geografico è pieno di significato: la Galilea.

Ogni ebreo avrebbe immaginato che il Messia avrebbe svolto la sua missione in Giudea, nella città santa di Gerusalemme. Invece parte dalla Galilea, una regione periferica del nord, una periferia che non è solo geografica, ma soprattutto morale: la Galilea era una regione di confine, vicina ai popoli pagani, ed in parte contaminata dal paganesimo.

Matteo sa vedere in questa situazione imprevista il compimento di un’antica profezia, e la conferma che Gesù è il Messia: i piani di Dio raggiungono il loro scopo anche quando sembrano prendere strade impreviste. All’uomo è chiesto solo di assecondarli e collaborare docilmente.

Il messaggio di Gesù: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Il regno dei cieli è un concetto che non viene chiarito, e neppure ci viene detto cosa significhi dire che sia vicino: ci sarà spiegato durante l’intero vangelo.

Invece della conversione ci viene dato immediatamente un esempio con la chiamata dei primi quattro discepoli.

Ci troviamo in riva al lago, Gesù sta camminando e degli uomini stanno svolgendo il duro lavoro quotidiano. Non c’è nulla di sacrale in questa scena: Gesù chiama i suoi apostoli nel momento della loro normale fatica quotidiana.

La scena ripete due volte lo stesso schema e ci permette di cogliere i tratti essenziali della chiamata del discepolo. Anzitutto il fatto che è Gesù che chiama. Non è il discepolo che si propone. Poi è centrale il rapporto con Gesù: «Venite dietro a me ».

Il discepolo non è chiamato anzitutto a prendere parte ad un progetto, oppure a fare sua una dottrina, o ad assumere un particolare stile di vita: al discepolo è chiesto anzitutto un rapporto di confidenza e intimità con Gesù. «Venite dietro a me» significa anche che è questa la situazione della vita di ogni discepolo: il discepolo deve sempre seguire il Signore, non deve fare una sorta di apprendistato per diventare a sua volta guida.

La guida e il maestro è e rimane soltanto Gesù, e il discepolo, qualunque sia la missione a cui è chiamato, rimane comunque uno che deve camminare dietro a Gesù, non fare di testa sua. Un altro aspetto è il distacco che la chiamata impone; le due scene sono simmetriche, ma c’è una piccola differenza tra loro. Nella prima si dice che Pietro e Andrea lasciarono le reti, nella seconda si dice che Giacomo e Giovanni lasciarono la barca e il padre. C’è un crescendo, dal mestiere alla famiglia. Le reti rappresentano la professione e il ruolo sociale, il padre invece indica la famiglia, gli affetti e le radici. Il discepolo di Gesù non deve disprezzare nulla di quello che la vita gli offre, ma non deve anteporre nulla all’amore per Gesù e alla missione che gli viene affidata.

«Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Seguire Gesù apre le porte alla missione. La missione nasce al rapporto con Gesù, non c’è nessuna vera missione nella Chiesa senza un vero rapporto di intimità con il Signore. Ma è anche vero che ogni vero rapporto con il Signore porta alla missione. Non può rimanere un rapporto a due. Ogni vocazione nella Chiesa, da quella più comune (comunque non meno importante) di essere marito e moglie, padre o madre, a quelle più particolari, il sacerdozio la vita religiosa, financo la vita claustrale, se è autentica, nasce da un vero rapporto con il Signore, e viene svolta per il bene di ogni uomo.

La missione è feconda: si dice nella parte finale del brano che «Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo». Quando la missione è autentica e vissuta correttamente fa bene a tutti. Tutti siamo chiamati a seguire bene e fino in fondo la nostra vocazione. Questo farà bene anzitutto a noi stessi, e facendo bene a noi farà bene alle persone che ci sono vicine, e, in modo misterioso ma reale, sarà di giovamento ad ogni uomo. Il risultato più bello, per ogni discepolo chiamato ad essere missionario, è far brillare nel cuore degli uomini che incontra un raggio della luce di Dio: «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».

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