La perdizione sta nell'esser schiavi del peccato
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La perdizione sta nell’esser schiavi del peccato

Alla luce di questo anche il significato di libertà assume un aspetto diverso

«Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!» (Dalla liturgia).

Le parole di Gesù sono terribilmente chiare. Ci mostrano le conseguenze del peccato, specie quando diventa il modo abituale di vivere.

Ogni uomo ha la possibilità di pentirsi del male fatto, fino all’ultimo istante della vita, e di salvarsi l’anima. Ma quando si decide consapevolmente di vivere nel peccato, non come evento eccezionale ma come modo normale di vivere (e Giuda lo aveva fatto: nel brano immediatamente precedente si diceva che Giuda era ladro, e prendeva dalla cassa comune quello che gli altri vi mettevano dentro) si spalanca la strada al maligno, che vuole la nostra rovina. E infatti, come dice il Vangelo di Giovanni nel brano dell’Ultima Cena, Satana entrò in lui.

Sappiamo bene come è andata a finire: ha tradito Gesù, lo ha consegnato ai suoi carnefici, e non è stato capace di pentirsi, finendo i suoi giorni impiccandosi.

Anche Pietro ha peccato, rinnegando tre volte il Signore. Ma Pietro, pur con le sue debolezze e i suoi sbagli, era un uomo onesto, abituato a vivere in grazia di Dio, e infatti si è subito accorto del suo sbaglio, si è pentito (il Vangelo ci dice che, dopo aver rinnegato Gesù, è scoppiato in lacrime), ed ha chiesto perdono. E l’ha ottenuto.

Noi crediamo di poter dominare il peccato, di potercene allontanare quando vogliamo. In realtà è lui che ci domina, che piano piano ci indebolisce, e ci rende facile preda di colui che vuole la nostra rovina.

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