Abituarsi al peccato è schiavitù
Il commento alle parole di Papa Francesco sul Vangelo di oggi
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 3,16-21
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Papa Francesco ha così commentato il brano del Vangelo di oggi in un omelia a Santa Marta di 2 anni fa:
«Anche noi, quando siamo nel peccato, siamo in questo stato: non tolleriamo la luce. È più comodo per noi vivere nelle tenebre; la luce ci schiaffeggia, ci fa vedere quello che noi non vogliamo vedere. Ma il peggio è che gli occhi, gli occhi dell’anima dal tanto vivere nelle tenebre si abituano a tal punto che finiscono per ignorare cosa sia la luce. Perdere il senso della luce, perché mi abituo più alle tenebre. […] Lasciamo che l’amore di Dio, che ha inviato Gesù per salvarci, entri in noi e “la luce che porta Gesù” (cfr v. 19), la luce dello Spirito entri in noi e ci aiuti a vedere le cose con la luce di Dio, con la luce vera e non con le tenebre che ci dà il signore delle tenebre. (Omelia da Santa Marta, 22 aprile 2020)».
Il rischio di abituarsi al peccato lo rende invisibile: se ne perde la concezione.
Si arriva addirittura a convincersi di non vivere nel peccato, tanto esso diviene parte di noi entrando nella “normalità” della nostra vita.
Il peccato è tenebra e come la luce che irrompe nell’oscurità ci ferisce gli occhi (pur essendo la luce una cosa buona), così nel peccato siamo incapaci di riconoscere la Verità, che spesso invece ci ferisce.
Nella luce tutto è chiaro, come quando si conosce la Verità. Nel buio il cammino diventa incerto e non si scorgono i pericoli. Chiudersi nel peccato è dunque come brancolare nel buio, esposti ad ogni pericolo.
Perdendo la consapevolezza del peccato si smarrisce anche il riferimento alla meta, e ci si allontana dal significato vero della vita.
Il peccato si insinua nell’anima così a fondo da suscitare le giustificazioni. E dopo aver giustificato un nostro comportamento siamo inclini a difenderlo ad ogni costo: anche dimenticandoci della verità e della giustizia. Abituarci a vivere e ignorare di essere in peccato è un’arma letale nelle mani del maligno.
Ecco dunque che si affaccia il tema della libertà. Vivendo nelle tenebre, come vivere nel peccato, limita la nostra libertà fino a renderci schiavi. E questo perché diveniamo dipendenti da noi stessi, ovvero da un “io” che rifiuta la verità.
Questo modo di vivere è in antitesi con l’ontologia e la natura dell’uomo, che è nato libero e che Dio così lo ha creato. Dio ci vuole infatti così liberi da arrivare persino a rifiutare il nostro Creatore.
Si spiega in questo modo il continuo richiamo al peccato come oggetto di schiavitù.