
1Sam 8,10.22: i rischi del non fidarsi di Dio
Quando Israele scelse di avere un re
La Bibbia insiste sulle risposte che l’uomo ha dato a Dio attraverso i secoli, e propone di discernere sulle conseguenze delle decisioni umane.
Se riflettiamo attentamente possiamo accorgerci che nel rapporto tra l’uomo e il suo creatore c’è stata sempre la diffidenza da parte del primo verso il secondo: fin dai tempi in cui Adamo dimostrò scarsa fiducia in Dio, e si lasciò convincere facilmente che avrebbe potuto diventare come Lui, semplicemente mangiando il frutto proibito. Si tratta della presunzione del non saper riconoscere i propri limiti.
Nella Bibbia questo tema è ricorrente. Lo troviamo un po’ in tutti i libri. Nel Primo Libro di Samuele, però, abbiamo forse una delle testimonianze più esplicite, quando Israele decide di farsi guidare da un re.
Con la mentalità di oggi arriviamo persino a stupirci che questa scelta sia discutibile. In Israele antica, però, il sentimento religioso e di stretta vicinanza con Dio, era prevalente, e caratterizzava il popolo ebraico tanto da farlo autodefinire “eletto”. Gli Ebrei passarono da una forma di enoteismo (un solo Dio da adorare, ma l’accettazione dell’esistenza di altri dèi) a un monoteismo stretto, evoluzione che si registrò solo nella parte centro-superiore del I millennio.
Tutta la storia di Israele antica si basa sul rapporto con Dio: le sconfitte arrivano in coincidenza con l’allontanamento da Lui, e le vittorie celebrano il ritorno all’armonia con il Creatore.
Con Samuele si ebbe il crepuscolo dell’era dei Giudici, che non erano magistrati, ma le persone autorevoli che si avvicendarono nel guidare il popolo secondo il volere di Dio, pur mantenendo il proprio libero arbitrio. Vedendo che i figli di Samuele non apparivano degni di ereditare il ruolo paterno, Israele lo invocò affinché ungesse un re. Dio sconsigliò questa decisione. Vediamo perché.
La scelta di Israele manifestava la sfiducia nel Signore, ritenendo il popolo capace di governarsi senza il supporto e la protezione divina. Fu la conclamazione di uno strappo con il quale Israele sanciva un nuovo allontanamento.
Samuele ricevette da Dio, in quel frangente, l’incarico di illustrare i rischi delle decisione. Un uomo che governa gli altri uomini non perde le sue accezioni umane, i suoi limiti, le sue debolezze e le sue colpe. Un re avrebbe obbligato i giovani ad essere destinati «ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio […], li costringerà ad arare i suoi campi, mietere le sue messi e apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri». L’ammonimento di Samuele proseguì a riguardo del destino delle giovani, dei campi, delle vigne, degli uliveti e degli armenti. Fu prospettato uno scenario in cui il re avrebbe favorito i suoi amici e il popolo avrebbe chiesto aiuto al Signore, il quale non avrebbe prestato ascolto (1Sam 8,10.22).
Nonostante l’avvertimento il popolo scelse di darsi un re, e Dio ne rispettò il libero arbitrio.
Le vicende successive di Israele portarono ad un momento di unità, sotto David, e poi un declino che si concretizzò con il traumatico esilio a Babilonia e infine con la distruzione del secondo Tempio, il quale era stato ricostruito sui resti del primo, al ritorno dall’esilio babilonese. Da allora (I secolo d.C.) gli Ebrei non hanno più un Tempio, e aspettano che sia ricostruito da quello che ritengono il Messia che deve, secondo loro, ancora arrivare.

