
Bereshìt, «In principio»: così inizia la Bibbia
Il primo versetto della Genesi esprime la potenza del linguaggio nelle Scritture
«Bereshit bara elohim et hashamayim ve’et ha’aretz» (בראשית ברא אלהים את השמים ואת הארץ), ovvero: «In principio Dio creò i cieli e la terra». È il famosissimo versetto introduttivo della creazione, la frase con cui inizia la Bibbia.
Bereshìt è un termine formato dal prefisso “be” che significa in, nel, e si lega alla radice di “rosh” che vuol dire testa, capo, e quindi l’origine e la fonte del pensiero. Molti esegeti si sono chiesti perché la Sacra Scrittura inizi con la seconda lettera dell’alfabeto ebraico, anziché con la prima, come ci si attenderebbe per logica nella esposizione sacra. I teologi cristiani rispondono a questa domanda sottolineando che prima del Cristo la barriera fra l’umanità e la Trinità Divina, non era completamente aperta. La Alef (א), prima lettera, in ebraico è muta, e simboleggia il silenzio di Dio.
Bereshit fu tradotto in Greco con le due parole “En archè”.
Anche “bara”, la seconda parola del versetto, indica qualcosa di profondo. Si tratta del verbo creare, ma con un’accezione che viene usata solo per Dio, in quanto specifica la creazione dal nulla, azione che la fisica non concepisce.
Segue poi il modo con cui Dio può venire indicato anche dagli Ebrei (Elohim), senza pronunciarne il vero nome, cioè quello espresso dal tetragramma sacro. È importante evidenziare che Dio può essere chiamato “Signore” (Adonai) oppure Elohim che è un plurale, e questo a un cristiano richiama immediatamente la Trinità.
A questo punto troviamo qualcosa che ci lascia sorpresi. La prima delle creazioni citate dalla Bibbia si riferisce al cielo, ma non al singolare, e neppure al plurale. In Ebraico esiste anche il duale, ovvero l’espressione che si usa quando la cosa citata si presenta in coppia. È duale l’articolo usato per occhi, orecchie, mani, piedi, ecc. Ebbene il cielo è indicato in Genesi 1,1 come duale, per sottolineare che i cieli sono due!
Il verso si conclude con l’affermazione della creazione della terra.
Già dal primo versetto abbiamo quindi infinite cose su cui ragionare, e possiamo aiutarci solo con la concezione dell’universo ebraico e del vicino oriente del VI secolo a.C. È opinione diffusa fra tutti gli studiosi, che la Bibbia venne riportata per iscritto, nella forma che oggi conosciamo, proprio nel VI secolo a.C. riportando, reinterpretando e ricordando circa 1000 anni di tradizione orale che ha avuto le sue origini in medio-oriente.
Non possiamo dunque trascurare l’influsso della cultura mesopotamica nella Bibbia. Abramo, che lo si ritenga personaggio storico oppure si voglia considerarlo di fantasia, denuncia chiaramente origini mesopotamiche, e precisamente proveniente da Ur, a 15 km. a Ovest dall’Eufrate, nel luogo dove ora sorge Tell el-Muqayyar (Cumulo della pece), a poca distanza dal Golfo Persico. Il pellegrinaggio di Abramo corrisponde al percorso dei nomadi che attraversarono la mezzaluna fertile, fino a giungere nell’attuale Palestina, dopo aver soggiornato anche in Egitto.
Troviamo infatti nella Bibbia numerosi richiami alla cultura mesopotamica, anche clamorosi, come ad esempio il Diluvio Universale (che troviamo anche nella Enūma eliš (“Quando in alto”; in cuneiforme accadico: 𒂊𒉡𒈠𒂊𒇺), o il Libro di Giobbe, del quale troviamo sostanzialmente l’espressione dell’Epopea di Gilgamesh. La Torre di babele stessa non è in effetti una “invenzione della Bibbia.
Comprendere il significato dei Libri Sacri non prescinde dunque dalla conoscenza del contesto storico, religioso, culturale, espressivo e anche emozionale di tempi diversi, ovvero dei periodi che possiamo ritenere quelli fondanti della nostra attuale cultura. Leggere la Bibbia, come tutti gli altri libri, e quelli religiosi in particolare, in senso letterale, oltre a non essere corretto, crea false idee e porta anche al fondamentalismo.
Occorre infine considerare un altro aspetto importante, che è quello che si riferisce alle traduzioni. Non sempre un termine trova l’esatto corrispondente in un’altra lingua, e soprattutto a volte non si riesce a esprimere esattamente in un altro idiomma, ciò che in origine si vuole specificare. Serve dunque una specifica conoscenza e tanta prudenza, per non ingenerare equivoci che divengono luoghi comuni e fonti di inutili e svianti polemiche.
Consideriamo che l’Antico Testamento è stato “pensato” e tramandato in ebraico e aramaico, tradotto dall’ebraico al greco e poi nelle varie lingue.
