Gesù, il compimento che è rivoluzione
Certi brani della Bibbia trovano la spiegazione solo dopo il “compimento”
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui» (Gv 14,23).
(Dalla liturgia).
Le domande degli interlocutori di Gesù, che lo interrogano non per conoscere la verità, ma per metterlo in imbarazzo, arrivano a toccare la sua stessa persona. La domanda è questa: se il Messia, come dice la scrittura, è figlio di Davide, è suo discendente, come mai Davide lo chiama Signore?
Figlio di Davide era in effetti uno dei titoli del Messia, e faceva pensare non solo alla sua provenienza (il Messia doveva provenire dalla stirpe del re Davide) ma anche al suo programma: assumere il comando politico e militare del Paese, cacciare l’occupante romano e ricostituire l’antico e glorioso Regno di Davide.
Gesù però non fa proprio questo progetto: contestando il nome (figlio di Davide) ne contesta il progetto. Gesù non è venuto a cambiare un governo, a restaurare un Regno, a sistemare in qualche modo le cose di questo mondo. È venuto a ridarci la pienezza della vita, a liberarci dal male e della morte, a darci la fondata speranza della vita eterna.